Dopo aver frequentato un buon corso di Comunicazione Non Verbale, una delle prime occasioni in cui si può sperimentare l’efficacia di questa scienza è il momento delle presentazioni.
È incredibile quanto frequentemente ci capiti di presentarci ad uno sconosciuto (al lavoro e nella vita privata), ma quanto poco dedichiamo attenzione a rendere quel momento più fluido e impattante.
Colloquio di lavoro, serata tra amici, primo giorno nel nuovo ufficio… sono tutte occasioni in cui giocarsela bene può fare decisamente comodo. Ma che vuol dire?
Ce l’hanno ripetuto mille volte: “Non esiste una seconda occasione per fare un’ottima prima impressione”… e allora vediamo insieme i 3 errori più comuni commessi quando incontriamo qualcuno per la prima volta.
MANI NON VISIBILI
Nei primi secondi di interazione con uno sconosciuto, l’essere umano guarda automaticamente le mani del proprio interlocutore (spesso senza rendersene conto). Lo fa per due motivi: in primo luogo valuta la cordialità di chi gli sta di fronte; in secondo luogo ne avverte i livelli di abilità. Scopriamo perché…
Immagina questa scena: 40.000 anni fa, prateria africana. Un nostro antenato sta raccogliendo frutta da mangiare e da riportare alla sua famiglia. Da dietro un cespuglio balza fuori un suo simile (ma di un altro villaggio) con le mani dietro la schiena…
Quali sensazioni pensi che possa provare il nostro amico?
Stessa scena molti millenni dopo: siamo a Londra, nel 1800 circa. Susy sta tornando a casa dopo una dura giornata trascorsa in fabbrica. Da un vicolo buio spunta fuori un losco figuro con le mani dietro la schiena, che fissa la malcapitata negli occhi…
In questa occasione, quali sensazioni dovrà gestire Susy?
In entrambi i casi siamo di fronte a due possibili aggressioni. Nel corso della storia del genere umano, nel nostro DNA è rimasta incisa la regola d’oro: “MANI NON IN VISTA, QUINDI POSSIBILE PERICOLO!”.
Ancora oggi, nonostante ci capiti molto più di rado di imbatterci in situazioni simili, le sensazioni evocate da uno sconosciuto che non ci consente di tenere d’occhio le sue mani sono le medesime di quelle descritte sopra. Per questo motivo è importante evitare, soprattutto nei primi minuti di interazione con una persona, di mettere la mani in tasca, di tenerle dietro la schiena o, da seduti, di “calzarle” sotto le cosce (posizione che tra l’altro può rivelare un certo livello di tensione ad un occhio esperto).
Finora abbiamo parlato di cordialità, ma che dire dei livelli di abilità comunicati dalle nostre mani?
La risposta è piuttosto semplice: fino a poche decine di decenni fa, le mani erano i nostri strumenti principali (se non unici) e ci occorrevano per sopravvivere. Servivano a raccogliere, costruire, accudire, combattere, mangiare…
Notare come gli altri “usano” le mani è sempre stato essenziale per valutare con chi fosse conveniente costruire una relazione.
Attenzione quindi a non comunicare inavvertitamente ai nostri interlocutori “NON TI MOSTRO LE MANI, QUINDI SONO UN BUONO A NULLA…”!
CONTATTO OCULARE “SCADENTE”
Si sa, nei primi istanti di interazione con chiunque, uno dei primi elementi che l’altro nota in noi è il contatto oculare (il modo cioè in cui lo guardiamo negli occhi).
Questo non dev’essere né sfuggente, né troppo insistente: nel primo caso trasmetterebbe all’altro una sensazione di inibizione e tensione, nel secondo invece ci farebbe percepire ancora una volta poco cordiali.
Come possiamo fare allora per “calibrare” al meglio il modo in cui guardare l’altro?
Una indicazione sulla quale potersi allenare da subito è guardare l’altro giusto il tempo per notare di che colore ha gli occhi.
Questo semplice stratagemma dovrebbe garantirci un tempo adeguato di contatto, nonché uno sguardo vivo ed interessato.
Provare per credere!
PROSSEMICA INADEGUATA
Quando ci presentiamo, non lo facciamo soltanto con le parole (o magari con le mani e lo sguardo), ma con tutto il corpo.
Chiamiamo prossemica la distanza alla quale interagiamo con gli altri. Qual è una buona distanza da tenere nei primi istanti di interazione con uno sconosciuto?
Anche in questo caso è opportuno evitare due pericolosi estremi: non dovremmo rimanere né troppo distanti, né arrivare ad essere troppo vicini. Nel primo caso finiremmo per comunicare una certa inibizione nelle interazioni, mentre nel secondo susciteremmo sensazioni negative di invasione. In entrambi i casi sarà difficile partire con il piede giusto per creare una qualsiasi partnership.
Non esiste comunque una “distanza standard” sempre valida: è perciò importante riuscire a calibrarci sull’altra persona e tener d’occhio i suoi segnali non verbali che possano rivelare tensione o rifiuto; in questo caso può essere opportuno aumentare un po’ la distanza di interazione. Nel caso in cui dovessimo rilevare segnali di gradimento, potrà essere favorevole avanzare un po’ (meno di mezzo passo, oppure inclinare il busto verso l’altro).
Una buona indicazione da seguire è lasciar spazio al proprio interlocutore nei primi istanti di interazione, lasciandogli quindi il margine per essere lui/lei ad avanzare verso di noi. In questo caso il suo sistema limbico registrerà un bel mi piace. In caso contrario, se ci dovessimo avvicinare troppo costringendo l’altro a fare un passetto indietro, porteremmo l’altro a registrare una sensazione negativa.
Questi sono soltanto tre dei molti aspetti che possiamo/dovremmo tenere in considerazione nei primi istanti di interazione: non mi resta che augurarti “Buona sperimentazione!”.
Alberto
3 Response Comments
Capperi!
Mi accorgo che, quasi istintivamente, percepisco questi segnali dai miei studenti: se, durante lo svolgimento di attività in classe, mi muovo tra i banchi con le mani dietro la schiena, i ragazzi sono intimoriti; basta che li guardi e risponda a richieste di aiuto fatte “con gli occhi” e il clima cambia, sono più sereni e più disposti a mettersi alla prova.
Adesso ho capito anche il perché.
Grazie
Gentile Cristina,
sono contento che l’articolo ti sia stato utile!
Il nostro obiettivo è proprio questo: sviluppare consapevolezza su quello che istintivamente già facciamo e acquisire nuovi strumenti sulle aree di miglioramento.
Grazie ancora per l’attenzione e al prossimo articolo!
Alberto